Bolognina. Primi, ma il Bronx è già qui ?
Arnaldo Spallacci – Sociologo
Le analisi come quella condotta dal Corriere di Bologna sulla vivibilità di diverse zone della città sono utili, fanno discutere, consegnano a noi porzioni di realtà, ma è opportuno valutarne i risultati con prudenza. Ogni inchiesta di quel genere, basata su indicatori quantitativi, nella apparente “oggettività” del dato numerico, è necessariamente condizionata dalle scelte soggettive di chi l’ha progettata, dal valore e dal “senso” attribuiti ad ogni singolo parametro utilizzato per valutare – nella fattispecie – la “vivibilità”, ovvero la qualità, di ogni zona cittadina.
Quindi, con riferimento specifico alla Bolognina, i parametri utilizzati dalla inchiesta possono esser letti in un senso, per valutare la qualità del vivere nel quartiere, ma possono anche essere letti in senso contrario. Ad esempio: essere vicini alla stazione è comodo? Sì, a patto che le zone limitrofe non siano tristi aree di degrado e delinquenza, e di inquinamento. E a Bologna ciò è accaduto. I prezzi bassi delle case? Potranno costituire un vantaggio, ma sono anche l’effetto della scarsa attrattività, dovuta alla dubbia immagine che il quartiere ha assunto negli ultimi anni. E l’elevata presenza di stranieri (la più alta nel panorama cittadino) se può significare da un lato un arricchimento, nella prospettiva di una “multietnicità” dai contorni incerti, dall’altro può significare anche estraniazione, separatezza, perdita della identità territoriale. E la rete distributiva, stretta fra le due polarità di centri commerciali da un lato, ed empori cinesi, kebab e call center, replicati in decine e decine di unità, dall’altro, sono lo specchio perfetto di questa situazione. Ed infine, il nuove Comune, ovvero “Piazza Liber Paradisus”, tre giganti di vetro, un disegno audace ed affascinante, ma anche la riproposta della logica della “cattedrale nel deserto”, buona per l’aperitivo serale, ma ben poco integrata nel tessuto comunitario circostante: degli interventi di “restyling” di cui si parla nel Corriere Bologna, pochi se ne sono accorti, ma ben più visibili sono gli edifici fatiscenti, ornati da poderosi murales e graffiti. Certo, la Bolognina non è tutta così. Se da una parte ha subito una mutazione (in peggio) tale da non renderla riconoscibile confronto al passato (il tutto pare al di fuori di un progetto, di una guida pubblica), è anche vero che alcune aree del quartiere hanno mantenuto una immagine e una vivibilità, nonché servizi scolastici e sociali eccellenti (ma non direi così superiori a quelli di altri quartieri della città). Ma attenzione: perché la Bolognina, laboratorio prediletto di “sperimentazione sociale”, già dispone di alcune circoscritte, ma ben definite isole che non è azzardato assimilare ad altrettanti minuscoli Bronx (non nella dimensione della “Grande Mela”, ma in quella più contenuta e familistica di un vero quartiere ex popolare). Come avviene in un certo incrocio della Bolognina “storica”, dove un gruppo di giovani africani da anni gestisce una attività di spaccio, avendo come base un “negozio etnico”, nel quale non si è mai visto un cliente, né italiano né straniero. Con gran passaggio di varia umanità nelle 24 ore, sotto gli occhi di cittadini attoniti, increduli, forse impauriti, che pare fingano di non vedere. Il tutto avviene in una porzione di città dove – nonostante le diffuse attività illegali – da anni non è apparso un vigile urbano, una pattuglia di polizia o carabinieri, una autorità pubblica in visita o controllo. Ma le autorità istituzionali e le forze dell’ordine forse non si fanno vedere perché hanno capito che lì, qualcuno, ha già probabilmente assunto il “controllo del territorio”, e che non è il caso di turbare la quiete apparente che in fin dei conti vi si respira. Questi fenomeni nessun indicatore o parametro statistico può rilevarli. Bisogna “esserci”, e avere occhi. Quelli giusti.
7-9-2010
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