E’ nata ieri, 27 gennaio, la Federazione delle cooperative o Alleanza delle cooperative il grande blocco della cooperazione italiana. Si è celebrato a Rom l’alleanza tra le tre megastrutture: la Lega delle Cooperative (Coop rosse) che ha fatturati intorno ai 50 miliardi e 4 milioni e mezzo di soci, Confcooperative (le cosiddette Coop bianche) e l’Agci (le laiche). L’operazione per adesso è un coordinamento tra le tre strutture ma la strada è scritta. Il simbolo che le rappresenterà sarà rappresentato da tre ‘c’ concentriche: una verde, una bianca e una rossa
La cooperazione è un’ alternativa alla competizione individuale, al liberismo selvaggio e anche un sistema economico che in Italia si è trasformato in una vera e propria corporation. Il regime fiscale particolarmente vantaggioso e l’intreccio di relazioni molto forti con la politica del partito di riferimento (Pci-Pds-Ds per le Coop rosse, cattolici DC ed ex DC per Confcooperative) non sembra più garantire una posizione privilegiata. La globalizzazione ha portato questo nuovo modello di crisi economica. E la crisi picchia duro ovunque: sull’industria, nei rapporti sindacali, su Confindustria, sui sistemi nazionali. Così mentre i consumi collassano le Coop si alleano per difendersi, rafforzandosi, e superando anche le vecchie barriere ideologiche e gli apparentamenti partitici del passato.
L’operazione va avanti da anni e la fusione politica del 2007 nel PD, de Il Partito della Margherita e dei Ds, ne erano la precondizione. Ma il tentativo ha radici antiche: nella Conferenza nazionale sulla cooperazione del 1977, data in cui i professori Romano Prodi e Giuseppe De Rita insistettero molto sulla necessità di costruire una holding unica. Le cooperative erano già diventate delle aziende sul mercato e l’immagine dei piccoli enti solidali non reggeva più. Il più acceso oppositore nel mondo cattolico Giuliano Vecchi, che prediligeva un’idea fedele alle micro e piccole aziende agganciate alla realtà sociale, fu battuto dai dirigenti delle Coop rosse e soprattutto da Confcooperative, che con Enzo Badioli optò per la creazione di banche che fornissero al sistema un polmone finanziario. In epoca più recente Giovanni Consorte con Unipol ha centuplicato con le assicurazioni l’idea di Badioli. Ma l’ultimo tentativo di Unipol di scalata alla Banca Nazionale del Lavoro raffreddò l’operazione. Unipol, grazie al sistema giuridico delle cooperative che non permette ad altri di “scalarle”, approfittò della situazione con la nota alleanza dei “furbetti del quartierino” ma incassò le critiche del mondo cattolico e anche del prof. De Rita.
Le dirigenze dei due mondi cooperativi si studiano e sostengano che la fusione sarà lenta. Si comincerà con una sorta di portavoce unico nel rapporto con il governo nazionale e gli organismi comunitari di Bruxelles ma si andrà avanti cauti. La lobby punta a far pesare le sue 43 mila imprese (dalle banche alla grande distribuzione, dall’agro-alimentare alle costruzioni fino ai servizi alla persona) con 1,1 milioni di lavoratori e un fatturato superiore a 127 miliardi di euro l’anno. La nascente Alleanza riguarderà il centro e non le aree regionali e non intaccherà i rispettivi organigrammi né i patrimoni di ciascuna struttura. Va definitivamente in soffitta il conflitto tra la vecchia anima nobile che vedeva nella cooperazione la spesa insieme o lavorare in comune per costruirsi la casa e l’anima degli affari.
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