
Se ci fosse un riconoscimento per la capacità di accogliere intorno a sé creativi anarcoidi ribelli, Romano “Gnocco” (Stefani) avrebbe dovuto ricevere il primo premio. Non “disgraziati” qualsiasi, ma creativi sfasciati, artistoidi incompresi, nerd svalvolati, borderline estrosi, mezzi matti, feriti profondamente dalla vita, geniali lavoratori dell’anima, della testa o con le mani: dove gli altri vedevano relitti senza speranza, lui individuava un animo gentile, un amico potenziale, un compagno di viaggio, un guerrigliero creativo. Era davvero una calamita per questo genere di umanità e loro gli hanno riconosciuto un ruolo di maestro.
La programmazione informatica come guerriglia collettiva, le controculture delle TAZ (Zone Temporaneamente Autonome) quale piano strategico di comunità, la fusione dell’essere umano con l’Intelligenza Artificiale erano il suo habitat, la sua prospettiva e preoccupazione già agli inizi degli anni ‘90, quando la maggioranza degli intellettuali e “alternativi” italiani neanche ne adombrava l’esistenza.
Romano era burbero, irreggimentabile, poteva essere a culo col mondo o in sintonia con chiunque, con quell’atteggiamento a corazza che nasconde una persona profondamente sensibile, piena di umanità, generosa, leale, che quando tutti si cagano addosso lui c’è sempre e sente la responsabilità verso gli altri, di fare qualcosa di degno.
Nella mia testa lo vedo ancora aggirarsi al vecchio Livello57 di Bologna in via dello Scalo, con la sua tribù di autocostruttori, video maker provocatori, come cani sciolti senza orario né regole. Una volta fui volutamente provocatorio rischiando la rissa: lui e un gruppetto di altri volenterosi stavano coprendo le mura esterne ed interne del Livello57 di TAG dai colori sgargianti, murales stilosi, tipo affreschi metropolitani newyorkesi. Per me che venivo dal quartiere Pilastro di Bologna erano orrendamente finti, inutili, da fighetti figli di papà: così, come un brutale impiastricciatore di serie zeta, impugnai un pennello cinghiale e segnai di vernice un muro ancora lindo con la scritta gigantesca: “Pensare senza agire è inutile, agire senza pensare è pericoloso – Confucio”.
Romano arrivò con la sua banda e videro lo scempio, con la vernice ancora fresca che colava dalla parete, in mezzo a quella street art curata: “Che è sta mmerda? Chi è stato?”, iniziarono a urlare furiosamente, col tono di un’orda che minaccia una gragnola di palate e la vergogna senza quartiere. Lui restò pietrificato davanti alla scritta, con me che avevo alzato il dito dichiarandomi l’autore. Fece un sussulto: “Cazzo, è bellissima, bellissima”, mentre gli altri mi venivano addosso inveendo. Lui alzando la voce: “Non capite un cazzo, questa deve restare, è fondamentale. Questa resta dove sta, non si azzardi nessuno a toccarla che se la vede con me, se la vede con me, ah, non capite un cazzo…”, incazzato. Silenzio, panico. E iniziò un sermone di un’ora e mezza sul pensiero, la distruzione e ogni tipo di bias cognitivo, con tutti i “suoi” ragazzi che lo guardavano esterrefatti. Continuarono a parlare per tutto il giorno (ero diventato invisibile; la scritta era completamente inventata, Confucio non l’ha mai detto). Lui era così, mai scontato, sincero e onesto intellettualmente anche se comportava essere impopolare. E fu così anche quella volta che mi salvò dall’ira generale.
Forse ti sei fuso con l’AI, forse è colpa mia se non ti riconosco in quello sguardo triste che vedo nelle foto di oggi, forse è la vita che ci cambia. In tante esperienze diverse mi hai insegnato più con i silenzi che con le parole, più con lo sguardo che con le teorie e che si impara dalle ferite quello che i riconoscimenti non potranno mai insegnarci.
Nel 2009, a circa tre anni dalle mie dimissioni da assessore del Comune di Bologna, lo incrocio per l’ultima volta nella centralissima via D’Azeglio che mi guarda minaccioso, bieco. Sorpreso, con mezzo sorriso tra i denti, gli vado incontro: “Romano dai, che cazzo mi guardi con quello sguardo torvo!?”. Mi viene sotto e cominciamo a discutere animatamente, ad alta voce, facendo il vuoto intorno. Dopo venti minuti eravamo ancora lì a spiegarci gli errori, le ideologie e qualsiasi altra nostra visione.
Ci litigavo spesso con Romano e sapevamo entrambi che bisognava andare oltre, come scrivevamo al Livello57: OL3. Il diverbio è finito per strada con lui divertito, ridendo che diceva: “Brutto stronzo, non ho ancora capito cosa, ma visto che stai con Molly, ci deve essere qualcosa di buono anche in te, ma non ho capito ancora cosa…”. Poi uno sguardo dolce dei suoi e un ciao burbero tipico dell’ omone quale era.
Romano era anarchico fino al midollo, imprevedibile e pronto a sperimentare, difficile da imbrigliare nell’ideologia, con un umanità infinita.
Questa è solo la nostra dimensione, ciao Romano, mi mancherai.
Mi piace immaginarti, come una volta, pieno di energia, libero, a viaggiare leggero da qualche parte in cerca di nuovi amici, pronto a costruire nuove TAZ, altre comunità.
*Foto di Simone Bellotti
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