Questa è una storia nera. Una storia di “cooperazione”, di omicidi, del business reggiano del maiale, dell’indifferenza della politica e della società civile che nasconde i fatti come si fa con la sporcizia sotto il tappeto.
Partiamo dalla fine.
Siamo nel 2006 a Castelnuovo Rangone .
Roberto Alperoli, sindaco di Castelnuovo Rangone in provincia di Modena chiede all’associazione contro le mafie di don Luigi Ciotti «Libera» di cambiare il programma della sua festa nazionale dedicata alla lotta contro tutte le mafie. Non vuole che il documentario – denuncia del giornalista Ruben OLIVA , “Il Paese del maiale “, vada in proiezione.
Fa di piu’ il Sindaco. Fa saltare la prima serata, dibattito compreso.
Cos’è quel documentario cosi’ pericoloso?
Il documentario «Il paese del maiale» fu trasmesso da Rai 3,durante una notte della calda estate del 2006 e racconta storie di contraffazione alimentare, attraverso il cambio dei marchi di cosce suine e dell’omicidio di un socio lavoratore di una falsa cooperativa di facchinaggio, che, avendo scoperto la truffa, chiedeva denaro in cambio del suo silenzio. Tutte vicende che hanno come sfondo la rossa Emilia.
Perché il Sindaco si oppose alla proiezione? Perché a suo dire il film «riporta di Castelnuovo un’immagine univoca e lesiva del comune, che sembra un paesino dove vivono solo mafiosi».
Ha tuonato: «Con questa scelta difendo i miei concittadini». E poi ha aggiunto: «Conosco i problemi di Castelnuovo ma bisogna parlarne in altro modo, non nei tre minuti d’intervento che mi concede quel film. Mi fa sembrare un povero idiota». Alla contestazione che anche i film con tesi scomode vanno visti, e semmai criticati (come ad esempio «Il Caimano») la risposta del sindaco è stata: «Premesso che anch’io ho applaudito “Il Caimano”, che vuole che le dica… affermate pure che io ho avuto un comportamento inammissibile. Ma questo film resta un orrore». E così il buon nome di Castelnuovo è salvo e con esso quello del sindaco e della libertà d’informazione.
Castelnuovo Rangone ha in piazza un tributo bronzeo al maiale. Un monumento di bronzo al maiale. Monumento collocato nella piazza centrale del paese di fronte alla chiesa.
La storia ce la racconta un sindacalista vero, Umberto Franciosi dal sito Nuovo caporalato.it.
“Quell’opera fu inaugurata nel dicembre 1997, durante la celebre festa del “Super Zampone” e senza ombra di dubbio quel monumento, unico in Italia, venne installato per santificare l’economia locale ma in pochi, purtroppo, si sono soffermati a ragionare o a riflettere su come si creava quel benessere economico.
Affrontare quegli argomenti era un tabù allora e lo è tutt’oggi. Quel porcello di bronzo rappresenta sicuramente un pezzo della storia del Comune di Castelnuovo Rangone, ma come tutte le analisi storiche dovrebbero essere eseguite con imparzialità. In queste righe cercheremo di raccontare la parte che non è mai stata narrata.
Il monumento aveva un certo costo economico e i soldi non si riuscivano a trovare tra le oltre cinquanta imprese del settore, presenti nel Comune di Castelnuovo Rangone, ciò dimostra l’attenzione che gli imprenditori avevano in quel periodo quindi, per procedere con l’iniziativa che comunque qualcuno voleva tenacemente realizzare, fu regalato da alcuni importanti macellatori olandesi che avevano rilevanti relazioni commerciali con alcune imprese locali della lavorazione delle carni.
Il monumento celebra l’indubbia e palpabile ricchezza che produce la lavorazione delle carni suine, ma si dimentica di ricordare e sottolineare i guasti che ha prodotto, non l’animale, ma gli allevamenti intensivi che hanno devastato, negli anni “70, le falde acquifere locali; un occasione sprecata per evidenziare le coraggiose scelte politiche effettuate dagli amministratori locali dell’epoca.
Il monumento fu collocato in un periodo storico in cui prese avvio e si incrementò l’utilizzo delle false cooperative di facchinaggio tanto che, alcune imprese, arrivarono a farsi la propria cooperativa, o meglio falsa cooperativa, che reclutava prevalentemente manodopera extracomunitaria. Il modello viene copiato dalle altre imprese e, nonostante leggi più severe che prevedevano anche il penale, il tutto va avanti impunemente. Il modello viene copiato dalle altre imprese, tanto che sono rarissime quelle aziende che non ricorrono oggi alle false cooperative.
Una competizione che prevede alti tassi di lavoro nero, evasioni ed elusioni fiscali e contributive, sfruttamento dei lavoratori, peggioramento delle condizioni di salute dei lavoratori e, addirittura, un omicidio. Un modello che sta creando ingiustizie sociali, problemi di coesione sociale e di convivenza fra etnie diverse, mancanza di formazione e crescita professionale dei lavoratori, costi assistenziali pesanti per l’aumento esponenziale delle malattie professionali, concorrenza sleale e che preclude lo sviluppo e la stessa esistenza delle imprese che vogliono continuare la loro attività onestamente.”
Ma si arriva all’omicidio. Due righe in cronaca .
“Ismail Jauadi era un tunisino di 28 anni, assassinato con 7 colpi di pistola alla schiena in una calda notte d’estate di mercoledì 24 luglio 2002, presso una vigna nelle campagne di San Sisto di Poviglio (RE). Uno spietato regolamento di conti, una vera e propria esecuzione in perfetto stile mafioso. Nel corso delle indagini apparirà immediatamente chiaro che l’omicidio è maturato nell’ambiente di lavoro del tunisino.
Il tunisino era residente a Castelnuovo Rangone in provincia di Modena. In pochi anni di lavoro aveva ottenuto una discreta esperienza nella lavorazione delle carni, come socio lavoratore presso la cooperativa DIMAC di Castelnuovo Rangone, ma con sede legale presso lo studio di un consulente del lavoro, ex ispettore del lavoro in pensione.
Ismail affermava di avere filmati e fotografie inerenti le operazioni di contraffazione che si effettuavano nei macelli e negli stabilimenti in cui la cooperativa effettuava il proprio lavoro. Con quelle affermazioni avrebbe ricattato i vertici della cooperativa, minacciando di svelare le operazioni di falsificazione che si effettuavano. Come si è appreso, immediatamente dopo l’arresto degli esecutori e del mandante, le operazioni di contraffazione e di “sbollo”dei prosciutti avveniva presso alcune aziende del territorio.
Un delitto deciso per coprire una truffa a base di prosciutti con marchio falsificato da immettere sul mercato, è il contesto dell’omicidio del macellatore tunisino. Un contesto che si intreccerà, come si apprenderà durante lo svolgimento del processo, con la mafia, il riciclaggio di denaro sporco, “strane” interferenze con i palazzi della politica romana.
Ismail era uno dei tanti lavoratori stranieri che in questi anni hanno trovato, nel distretto alimentare di Castelnuovo Rangone, un’opportunità lavorativa. Oltre ad apprendere un mestiere ne carpì anche i suoi segreti e, tra questi, la contraffazione dei marchi. Contraffazione che altri lavoratori stranieri ritenevano una normale attività da eseguire, perché non ne conoscevano le norme igienico-sanitarie e le leggi che vietavano tali operazioni.
Ismail capì che quelle attività erano illecite, ma comprese molto bene che giravano tantissimi soldi, come si è anche appreso nel corso del processo. Capì anche, altrettanto bene, che a lui toccava una fettina della torta molto piccola rispetto al business che, anche lui, contribuiva a generare. Iniziò un gioco sporco e pericoloso: ricattare i dirigenti della cooperativa minacciando di svelare tutto con il supporto di foto e filmati. Fu ucciso perché minacciava di svelare attività illecite che lui e la cooperativa per cui lavorava, effettuavano per conto terzi.
L’assassino, i suoi complici ed il mandante sono in galera dopo tre gradi di giudizio, ma del processo sulla contraffazione non si sa ancora nulla! Eppure Ismail fu ucciso per coprire quelle attività illecite e, indirettamente, altre situazioni più pesanti ed imbarazzanti.
Una storia che vede coinvolto un lavoratore straniero, assassinato con sette colpi di pistola alla schiena, senza legami affettivi qui in Italia, quindi nessun movimento, comitato o familiari chiederanno conto di quell’inchiesta e del suo conseguente processo. Passeranno gli anni e, come succede in Italia, anche questo scandalo andrà in prescrizione.
Ritornando ai temi del processo, significative sono state le dichiarazioni riportate del Pubblico Ministero di Reggio Emilia Lucia Russo: “chi ha ucciso Ismail è stato mosso da rancore e vendetta, dalla volontà di sopprimerlo per liberarsi di una persona che minacciava di rivelare alle autorità un presunto traffico illecito di contraffazione di prosciutti alquanto lucroso”. Sempre il PM reggiano, dopo pochi mesi di indagine dichiarò: ”molte persone avevano interesse a mentire, è stato faticoso ottenere informazioni anche banali. Sin dal ritrovamento del cadavere abbiamo avuto a che fare con persone che non mostravano disponibilità a collaborare. E’ stato faticoso, c’era un atteggiamento di paura”.
Affermazioni che purtroppo descrivono un ambiente che può tranquillamente essere definito omertoso, che lega ed intreccia paura, indifferenza e complicità. Un ambiente che si è sviluppato e forgiato nelle zone grigie dell’illegalità del lavoro e che ha costituito il brodo di coltura da cui si sono generate persone senza scrupoli come gli assassini di Ismail, ma anche lo stesso Ismail.”
La Mafia dietro alcune operative di carni . Dietro il business del prosciutto . La Mafia siciliana di Mazara del Vallo e la Mafia amministrativa dell’Emilia che tace e nasconde la verità .Il nome di un mafioso trapanese , Mariano Nizza e il commercio illegale di carni. Tra l’Emilia che “deve tacere” e il maiale di Castelnuovo Rangone che continua a ingozzarsi.
Giuseppe
Castelnuovo comune nell’Unione Terre dei Castelli. Non mi meraviglio che il comune di Zocca che ha per Sindaco un ex funzionario della Comunità Montana Mo Est, dopo che questa è stata sciolta abbia deciso di aderire a questa Unione. Il Sindaco di Zocca ha sempre lodato le Comunità Montane, poi, quando si è trovato a dover scegliere fra L’Unione e la C.M. del Frignano, ha scelto la prima.
Il sindaco di Zocca ha visto condannato il fratello per ammanchi milionari, questo è avvenuto sotto ai suoi occhi, quseto sindaco che si era candidato con una lista civica scartando i segretari dei Partiti che lo appoggiavano (DS e Margherita, appena è successo lo scandalo è corso sotto l’ombrello del Partito (PD), L’ombrello ha funzionato, il Partito ha “GARANTITO” per il sindaco, il sindaco però deve ubbidire.
L’allargamento della discarica è stato un “ORDINE”.