Il crollo dello scalo di Rimini si trascina le giunte Pd


Bocche cucite sull’inchiesta su Aeradria, la società fallita che ha gestito per decenni lo scalo aeroportuale «Federico Fellini» di Rimini. Un collasso per molti annunciato e che ha portato, oltre al crollo economico della S.p.a nata a Miramare nel 1962, a un’inchiesta giudiziaria che coinvolge i suoi amministratori, le società collegate, i vertici della politica locale e i responsabili fidi delle banche di riferimento.

Uno scandalo da 56 milioni di euro e una ventina di indagati che sta consumando la cittadina romagnola da sempre governata da amministratori di centro-sinistra. Oggi molto preoccupati che la vicenda finisca sui palcoscenici nazionali.

Tutto esplode con una denuncia alla Guardia di Finanza dei tre consiglieri comunali eletti col M5S, Luigi Camporesi, Carla Franchini e Gianluca Tamburini. Il 28 luglio 2011 il consiglio comunale di Rimini è chiamato a decidere sulla ricapitalizzazione della società. Ma sia il collegio sindacale che la società di revisione Deloitte & Touche esprimono pareri sfavorevoli, raccomandandosi di «contenere le spese» o si dicono «impossibilitati a esprimersi»; in linguaggio tecnico vuol dire che la società è decotta e priva di credito. Nei bilanci spiccano dei cosiddetti crediti verso altri che la società dovrebbe ricevere ed ha contabilizzato come entrate, importi da 3 milioni 505 mila euro, ma che non sembrano esistere. Lo stesso quadro, a dir poco opaco, per un debito da 3 milioni 253 mila euro verso un fornitore ma che questi non ha mai fatturato. In consiglio comunale è bagarre. Ai 5 stelle che denunciano seguono le critiche di Fabio Pazzaglia di Sel-Fc e di Marco Casadei, ex Lega Nord.

Emerge che la società è schiacciata da un macigno di debiti ed è proiettata verso il default con i libri in Tribunale. Ma il passaggio dal presidente Massimo Masini, ex politico e sindaco di centro-sinistra di Riccione, che l’ha gestito negli ultimi 9 anni, alla nomina da parte del Tribunale di Rimini del commissario giudiziale Renato Santini non è indolore. Si avvia una procedura di concordato preventivo: l’accordo con i 51 creditori di ricevere solo una parte dei pagamenti. La situazione però presto degenera. I creditori si oppongono al piano. Ma si vedono poco dopo bocciati i ricorsi dalla Corte d’Appello di Bologna. I giudici sentenziano che il dissesto economico-finanziario di Aeradria è «sottostimato» e che grazie al commissario giudiziale emerge un quadro ben più grave, su cui interviene la Procura inquirente, tanto da configurare una vera e propria frode, con gli amministratori che inspiegabilmente non hanno intrapreso, come dovevano, azioni risarcitorie verso i vecchi gestori.

Si scopre l’arcano. Aeradria è nel baratro con un debito fallimentare da 56 milioni di euro e anni di sciagurata gestione di denaro pubblico.

Tra i reati ipotizzati dal procuratore Gemma Gualdi, che ha condotto l’indagine, ci sono bancarotta fraudolenta, ricorso abusivo al credito, abuso d’ufficio e finanziamenti «troppo facili». Il terrore corre sul filo che lega tutti gli amministratori locali. Da giorni è difficile trovarli al telefono. Sono indagati i membri del consiglio d’amministrazione, il presidente Massimo Masini, i vicepresidenti Massimo Vannucci e Mario Formica, il sindaco Pd di Rimini Andrea Gnassi, l’ex sindaco Alberto Ravaioli, il presidente della provincia Stefano Vitali e l’ex presidente Nando Fabbri. Tutti del Pd. Così come un vicepresidente della Banca Malatestiana e un funzionario della Cassa di Risparmio di Rimini.

Nell’indagine è finito un finanziamento da 1 milione 200 mila euro concesso dalla Cassa di Risparmio, sulla base di lettere di patronage firmate da Vitali e Gnassi. Le garanzie date da entrambi non avevano però alcun tipo di supporto concreto, in quanto alla base non c’erano stanziamento pubblici. In questo modo, secondo gli inquirenti, si sarebbe solo cercato di dissimulare l’insolvenza in cui era finita Aeradria.

Una sorta di ciclone da fine impero che oltre ad aver investito i vertici riminesi si allarga anche alla direzione dell’Ente Nazionale Aviazione Civile (Enac). Il 14 aprile la Guardia di Finanza ha perquisito abitazioni e uffici del presidente Vito Riggio (ex politico di spicco della Dc) e dei tre membri del Cda, Roberto Sorrentino, Andrea Corte e Lucio D’Alessandro, notificando loro un avviso di garanzia per bancarotta fraudolenta in concorso.

Sorrentino, faceva parte sia del collegio sindacale di Aeradria che di Enac. Aeradria aveva richiesto all’uomo una relazione per ottenere la certificazione del marchio promozionale «Rimini-go» (portale di prenotazione dei voli). In realtà, secondo il pm, la relazione sarebbe stata solo una contropartita per concedere una consulenza da 70mila euro.

Su Aeradria ma anche sull’aeroporto di Forlì, si è aperta poi un ulteriore inchiesta. I magistrati hanno spedito avvisi di fine indagine a 10 funzionari per la truffa nei servizi di handling e per irregolarità diffuse. Interpellato da Libero lo storico direttore dell’aeroporto Mario Pari si dice esterrefatto:«Un disastro. E pensare che quando sono andato in pensione io abbiamo lasciato 6 milioni di euro di attivo e quasi mai eravamo andati in disavanzo».

Tutti gli interessati si dicono «estranei a fatti» ma il caso Aeradria sembra qualcosa di più dell’ennesimo sperpero sconsiderato di denaro pubblico.

Pubblicato su Libero Quotidiano nazionale il 19 Aprile 2014

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