di Antonio Amorosi a pag. 9 de La Verità del 7 gennaio 2017
Dopo la nostra denuncia il ministero fa dietrofront. Riassegnata la scorta a Franco Caminiti, testimone contro i clan. Gli era stata tolta la protezione, esponendolo alla vendetta delle ‘ndrangheta. Il 29 dicembre scorso la sua auto era stata assaltata da un commando armato.
«Se denunci resti solo come un cane» diceva ancora l’altro ieri alla Verità. «L’altra mattina dovevo recarmi al lavoro e non avendo più l’auto volevo farmi accompagnare da mia moglie con un altro mezzo. E lei mi ha detto:“Se ci sparano ammazzano entrambi. Meglio che uno resti a casa, così rimane vivo. Abbiamo ancora dei figli…”. Non me lo ha detto per paura ma per calcolo. Siamo ridotti a questo, ormai».
(……In attesa di leggerlo on line cercalo in edicola -) aggiornamento 11 gennaio 2017
Riassegnata la scorta a Franco Gaetano Caminiti, testimone di giustizia contro la ‘ndrangheta, vittima di numerosi attentati, alcuni anche cruenti e macabri, e rimasto senza scorta dall’agosto scorso.
Caminiti è un commerciante di Reggio Calabria, vittima del racket dei clan. Le sue denunce ripetute negli anni, 62, portano alcuni affiliati dei clan Alvaro, Tegano, De Stefano e Latella agli arresti e poi alle condanne. Ma dall’estate scorsa gli viene tolta la protezione perché il ministero dell’Interno ritiene ci sia una «mancanza di elementi concreti e attuali in ordine all’esposizione al rischio». Non correrebbe più pericoli. Da circa un mese il dicastero è diretto proprio dal reggino Marco Minniti (Pd).
La situazione degenera a fine 2016 quando, il 6 dicembre, Caminiti riceve da Malta una lettera con minacce di morte. Il 15 dicembre viene resa nota la sentenza di uno dei processi nei quali è stato collaboratore (l’operazione «Gambling») che smantella una holding internazionale di scommesse e di giochi sportivi on line. Gli vengono depositate nella cassetta postale delle cartucce. Il 29 dicembre sera un commando lo aspetta sotto casa e, mentre sta parcheggiando, gli spara una raffica di colpi di pistola ma colpendo solo l’autovettura. L’uomo che è anche un portatore di handicap, ha gravi difficoltà a deambulare, si salva per miracolo. Come nei tanti attentati che si sono susseguiti negli anni: diversi incendi alle sue attività commerciali, un pacco bomba recapitato in ufficio, un commando che gli scarica addosso tutto il caricatore di una pistola e una serie infinita di minacce e atti intimidatori, come quello macabro della testa di capretto scuoiata fatta ritrovare sul suo scooter.
Dopo la sparatoria, la sera del 29 dicembre, accorre sul posto la polizia che come da prassi sequestra l’auto per accertamenti. Caminiti segnala sulla bacheca facebook l’attentato.
E’ un uomo parco di parole, Caminiti, deluso dalle istituzioni e affranto per la sua condizione. «Ho chiesto la scorta ma nessuno neanche mi parla più da procura e prefettura reggine. Sono un fastidio. Se denunci resti solo come un cane» diceva ancora l’altro ieri alla Verità. «L’altra mattina dovevo recarmi al lavoro e non avendo più l’auto volevo farmi accompagnare da mia moglie con un altro mezzo. E lei mi ha detto:“Se ci sparano ammazzano entrambi. Meglio che uno resti a casa, così rimane vivo. Abbiamo ancora dei figli…”. Non me lo ha detto per paura ma per calcolo. Siamo ridotti a questo, ormai».
In territori di confine come la Calabria, da sempre preda degli affari e delle strategie di potere della ‘ndrangheta, un testimone come Caminiti dovrebbe essere un bene prezioso o un simbolo positivo non un fastidio. Ma dell’attentato del 29 parlano pochi media locali anche se nel fiume dei commenti di facebook c’è chi si indigna. Chi sta scrivendo scopre gli avvenimenti, contatta il ministero dell’Interno ma non riceve spiegazioni e racconta la storia in un’inchiesta sulle pagine nazionali della Verità del 3 gennaio. Da lì monta il caso. In rete tanti lettori reagiscono duramente. Come Giuliana che scrive: «Che schifo, mi vergogno per loro», riferendosi a quelli che hanno tolto la scorta. O Antonio, pensionato reggino: «Che delusione, non credo più a nessuno, né alle associazioni antiqualcosa, né ai giudici e men che meno, ai giornalisti d’assalto e d’inchiesta…..hanno tutti paura di inimicarsi qualcuno». Franca Decandia, presidente dell’associazione nazionale vittime usura estorsione e racket (Anvu) si scaglia invece contro l’associazione Libera che ha denunciato Caminiti, come sospetto colluso, mettendo in discussione la sua credibilità. Un altro lettore, Giuseppe, prova a pungere l’ignavia delle istituzioni: «Spiegata l’omertà?». Se denunci resti solo e ti ammazzano, quindi meglio non fiatare! Simone Furlan, fondatore dell’Esercito di Silvio e membro di Forza Italia, minaccia la mobilitazione davanti ai ministero per ridare la scorta a Caminiti. Giovanni Iacoi del sindacato della polizia di Stato Libertà e Sicurezza chiede l’ intervento immediato di Minniti. Anche Oscar Giannino dedica uno speciale su Radio 24 al caso del commerciante. Da lì monta ancora di più l’indignazione. Di nuovo la mattina del 5 gennaio La Verità ha chiamato la prefettura di Reggio Calabria chiedendo spiegazioni. Ma senza grandi risultati.
La sera del 5 gennaio la sorpresa. Sia gli agenti della Questura che quelli della Guardia di finanza di Reggio Calabria si sono presentati al negozio di Caminiti per comunicargli il ripristino della scorta, ma senza un atto formale che – è stato detto – arriverà a giorni.
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