Doveva essere una rivoluzione portata dal Pd, dal duo Graziano Delrio-Matteo Renzi. E lo è. Ecco il Nuovo Codice degli appalti, i quasi 220 articoli più commi, sovra e sottocommi che raccoglie contratti e appalti pubblici in Italia. Prima è arrivato lo schiaffo a Raffaele Cantone, ridimensionando i poteri dell’Anac, l’Anticorruzione, che doveva intervenire per macroscopiche irregolarità senza aspettare le lungaggini della giustizia e adesso non può più farlo, poi i ritardi nella firma del presidente Mattarella, e infine la versione corretta. Il Codice dopo 966 emendamenti parlamentari più quelli degli ordini professionali, degli enti giurisprudenziali e pubblici coinvolti, dovrebbe andare in Gazzetta ufficiale a ore, se non ci sono altre integrazioni del governo all’ultimo minuto. Ecco i nodi più spinosi.
1) Il dedalo. La buona prassi richiede, e ancor di più per una materia così a rischio di corruzione e manipolazione, che le norme siano poche, chiare, non in contraddizione tra loro, poco interpretabili e non scritte in un linguaggio cripto-ottocentesco. Ma qui vale il contrario. I redattori sono riusciti a scrivere anche periodi lunghi 27 righe senza mettere mai un punto. E’ un labirinto in cui l’interpretazione la fa da padrona.
2) Come si fa? Boh! Gli articoli dal 21 al 27 si occupano di come si fa l’opera pubblica (pianificazione, programmazione e progettazione). Ci si aspetterebbe poi una descrizione precisa dell’iter realizzativo dell’opera. Non c’è niente. In più per molte parti si viene rimandati ad altre linee guida o a decreti attuativi che definiranno le azioni da compiere per rendere efficace il Codice. Aiuto!
3) La responsabilità solidale. Il principio per cui se il dipendente di una ditta in subappalto non viene pagato dal datore di lavoro può rivalersi sull’impresa iniziale che ha subappaltato. La Cgil ha minacciato un referendum se il governo non la introduceva. Il governo Pd lo ha fatto (art. 50 e 53), ma nei limiti in cui il subappaltatore fa accedere ai propri dati contabili l’impresa da cui ha ricevuto i lavori, consentendole così di esercitare un potere di controllo. Comunque la pensiate sulla responsabilità solidale, il principio resta un’opzione. Se per un motivo tecnico, e si trova sempre, chi esegue il lavoro non fa avere la documentazione all’appaltatore la responsabilità non esiste. Nel caso di conflitti, liti tra le parti, segretezza e simili neanche a parlarne. Ma intanto la Cgil fa finta di crederci.
4) Per le manutenzioni che ci frega del progetto esecutivo!? L’esecuzione dei lavori di manutenzione di un’opera può prescindere dalla redazione e approvazione del progetto esecutivo della stessa. Fa eccezione se la manutenzione riguarda il rinnovo o nella sostituzione di parti strutturali dell’opera. Ma anche le manutenzioni che non sono di parti strutturali di un’opera possono ammontare a cifre copiose. La decisione è incomprensibile.
5) Cosa non si fa per gli amici. Per gli appalti di un valore inferiore ai 40000 euro (art. 93) «è facoltà» delle stazioni appaltanti non richiedere alcuna garanzia nella realizzazione dell’opera. Saranno le pubbliche amministrazioni a valutare, caso per caso, se richiedere o meno la garanzia fideiussoria alle imprese che realizzano i lavori. La discrezionalità potrebbe essere tale da far si che all’impresa «amica», vicina alla maggioranza che amministra il Comune o l’ente, non si chieda nulla. All’impresa comune o «nemica» si chieda ogni cosa, mettendo ogni tipo di bastone fra le ruote.
6) Non ci interessa chi realizza l’opera. Viene eliminato l’obbligo per l’appaltatore di indicare una terna di subappaltatori, al momento della presentazione dell’offerta. Col nuovo Codice sarà la stazione appaltante, di volta in volta, a stabilire se l’anticipazione dei nomi dei subappaltatori sia necessaria oppure no. Anche qui la discrezionalità è massima.
7) Le varianti in corso d’opera fanno fare i soldi. Le varianti sono il classico sistema utilizzato per far lievitare i prezzi di un’opera. Si vince l’appalto con una cifra iniziale ma poi durante i lavori accadono tanti eventi imprevisti. Ci sono casi in cui il prezzo dell’opera, per milioni di euro, è lievitato di 4 volte il valore iniziale. Le varianti sono valide, spiega il Codice (articolo 188), solo se non superano il 10 per cento del valore del contratto (appalti di servizi) oppure il 15 per cento (lavori vivi). Le cose, però, cambiano per appalti pubblici di importo pari o superiori alla soglia comunitaria. La soglia comunitaria massima di ogni opera è di 5,2 milioni di euro. Sono ammesse le varianti in corso d’opera il cui valore ecceda il 10 per cento. Inizialmente, se le cose non quadravano, doveva controllare l’Anac e dare un responso entro 30 giorni ma ora, con lo stop a Cantone, è previsto che l’Anac intervenga tramite contraddittorio. Con poco personale e senza la possibilità di sanzionare come nella prima versione del Codice (cioè senza aspettare i giudici) quali potranno essere i risultati?
8) Paghiamo sempre noi. Ecco la nuova versione del project financing all’italiana. Il project financing è un sistema di realizzazione delle opere nato nella cultura anglosassone. L’ente pubblico non ha il denaro per realizzarle? Lo fa il privato che ne gestirà l’attività per anni facendosene pagare l’utilizzo. Nella vulgata italiana il project financing però non è mai stato così. Ha sempre pagato il pubblico. Lo Stato (o l’ente pubblico) prestava garanzie di copertura alle banche che anticipavano la liquidità. Si è solo finto che lo facesse il privato. Ma viste le ruberie riscontrate negli anni si era corso ai ripari. La formulazione iniziale del Codice prevedeva che il contributo pubblico non superasse il 30 per cento del valore complessivo dell’opera. Il governo ora lo porta al 49 per cento. Siamo punto e a capo. Basta poi qualche variante in corso d’opera e il gioco è fatto.
9) La legalità è un optional. I requisiti di rating delle imprese, che contiene l’affidabilità e la mancanza di condanne, non sarà più obbligatorio ma volontario. Premierà i «migliori» in gara, valutando la capacità di rispettare tempi e costi di esecuzione, oltre alla vocazione al contenzioso nei precedenti contratti.
10) E’ l’emergenza bellezza! In caso di terremoti, calamità e motivi straordinari gravi, si potrà, come sempre, aggirare tutte le norme del Codice (art. 163). E anche per violazioni palesi, i relativi controlli da parte della pubblica amministrazione appaltante saranno effettuati solo a cose fatte entro 60 giorni dalla conclusione del contratto. Solo a quel punto ci si potrà rifare sulle imprese nel caso abbiano violato le norme.
di Antonio Amorosi pubblicato su La Verità del 29 aprile 2017 a pag 12
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