REAZIONE NEONAZISTA ALL’ISLAM IN SVEZIA: 5,6%


Un bel articolo di Lorenzo Bianchi, giornalista de Il Resto del Carlino, ci racconta come l’indifferenza delle Istituzioni alla mancata integrazione islamica abbia portato in Svezia, la patria del welfare e del benessere socialdemocratico, all’entrate in parlamento dei neonazisti nazionali.

«LA SVEZIA ha un problema/un tumore che cresce sempre di più./ I politici finora hanno sbagliato tutto./

Sono stati vili e non hanno osato affrontare un problema sociale./ Rubano i nostri posti di lavoro e si comportano come scimmie./ Io non li voglio qui./ Sono circa 450 mila./ Li puoi riconoscere dai loro sguardi spietati. /Non hanno idea di cosa sia l’amore e la solidarietà./ Vorrei potermi sentire sicuro quando torno a casa di notte./ Non dovere aver paura di queste bestie pronte a rincorrermi per farmi del male».

Su una pagina di Facebook Niels Dacke spiega perché ha votato per la destra estrema, gli Sverigedemokraterna di Jimmie Akesson. La Svezia di colpo si scopre assai poco scandinava e molto continentale. La destra ha travolto lo sbarramento del 4 per cento toccando il 5,6. Venti deputati sono sbarcati per la prima volta in Parlamento. A Soedertaelje, centomila abitanti, 40 chilometri a sud di Stoccolma, Anders Lago, giovane sindaco socialdemocratico, si interroga ancora sulla bufera che nella sua città ha proiettato i Democratici Svedesi e un altro piccolo partito nazionalista al dieci per cento: «Il sistema si è inceppato per eccessivo sovraccarico. Dobbiamo solo trovare il modo di farlo funzionare di nuovo». La sua analisi è in qualche misura rassicurante: «Da noi non sono i rifugiati a commettere i crimini, ma i figli o i nipoti degli immigrati di trenta o quaranta anni fa che non sono riusciti a integrarsi e si sono autoghettizzati.

In compenso non saremmo in grado di andare avanti senza gli stranieri. Negli stabilimenti della Scania sono la metà della manodopera». AKESSON su questo tema scivola con noncuranza. Gli immigrati sono il 14 per cento della popolazione? Per il suo addetto stampa e neodeputato Kent Ekeroth è «un obiettivo concreto ridurre l’immigrazione del novanta per cento». In campagna elettorale ha martellato gli elettori con uno spot assai poco sofisticato. Una vecchina bianca aggrappata al suo girello viene travolta da un gruppo di giovani musulmane in burka e con le carrozzine colme di pargoli. «Il video ci è stato censurato anche dalle tv private. La disoccupazione — argomenta — è al 9 per cento fra gli svedesi. Nella comunità straniera è il doppio. Che senso ha continuare a farli arrivare?». La popolazione non autoctona di Soedertaelje è lo specchio fedele di molti drammi planetari. Lago traccia la mappa: «Arrivarono per primi i turchi e i siriani, in fuga da dittature. Poi fu il turno dei bosniaci dopo l’implosione della Jugoslavia. L’ondata più recente è stata quella irachena. Nell’ultimo anno abbiamo accolto ottomila persone. Fuggono ancora dall’Iraq, dall’Afghanistan e dalla Somalia». Lo stato elargisce sussidi, alloggi, aiuti di vario genere. La fama della generosità svedese si è diffusa in tutto il Medio Oriente e non solo. Annika Stroem Melin, editorialista

del «Dagens Nyether», tenta questo identikit dell’elettore di Akesson: «Giovane, maschio, impiegato

in lavori manuali, residente nel sud del paese dove la pressione degli immigrati è più forte. Molti fino alle ultime elezioni votavano socialdemocratico». La capitale sembra immune. A Stoccolma dominano

gli azzurri moderati del primo ministro uscente Fredrik Reinfeldt, la finanza e le banche. Per dirla con le parole di Kent Ekeroth «la capitale consuma, non produce ed è lontana dai bisogni dei lavoratori svedesi del sud». Un tipico rappresentante della categoria sociale mobilitata da Akesson è Richard Jomhof, 42 anni, di Karlskrona, appena eletto in Parlamento. «Non possiamo—arringa—rischiare di veder calpestati i nostri valori. A me non piace l’Islam perché non rispetta le donne. Gli svedesi sono un popolo che considera la gentilezza, il rispetto, le buone maniere i cardini di una società civile. Tutto questo è minacciato da chi vorrebbe addirittura essere giudicato qui secondo i principi della sharia». Molti Sverigedemokraterna infrangono un antico tabù scandinavo. Sostengono che si potrebbe addirittura revocare la cittadinanza «a chi

commette reati gravi». «La soluzione — rintuzza il sindaco Lago — non è rimandarli indietro, ma integrarli

più rapidamente. Di questa gente non possiamo fare a meno. Se la loro presenza sta mettendo in pericolo il miracolo svedese, senza di loro questo miracolo non esisterebbe proprio». In fondo neppure Nils Dacke si illude: «Vivono qui da tanto, troppo tempo». Il calore della generosità scandinava sembra rattrappito da una ventata gelida. I fondatori degli Sverigedemokraterna, nati nel 1988, erano i neonazi del Partito Nazionalista del Nord. LA DIVERSA atmosfera trasuda anche da una pagina cruciale di Stieg Larsson, l’autore della Trilogia del Millennio. Martin Vanger, l’assassino seriale di «Uomini che odiano le donne», ha cominciato a uccidere le sue vittime negli anni sessanta e negli ultimi quindici ne faceva sparire una o due ogni dodici mesi. La polizia non si è mai messa in allarme. Lisbeth Salander, la hacker che si diletta di indagini a tempo perso, si dà una spiegazione: «Le sue vittime erano donne anonime, spesso ragazze straniere arrivate da

poco che non avevano amici e contatti sociali in Svezia». Nella nazione che ha inventato il welfare più generoso d’Europa può capitare che la cantina di un sadico maniaco resti a lungo un silenzioso Leviatano

che ingoia le spoglie di giovani immigrate fatte a pezzi.

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