La lista delle municipalizzate bolognesi è lunga a partire da Interporto, il colosso logistico del trasporto merci di tutta la provincia in cui hanno sede multinazionali quotate come Yoox o Segafredo. E le più grandi municipalizzate locali come Tper e Hera negano la visione della propria Centrale dei Rischi al punto di far dubitare che qualche problema ci sia anche per loro con conseguenze imprevedibili per i cittadini.
Se guardiamo Interporto, in questi giorni il comune vende per fare cassa il pacchetto azionario di maggioranza. Base d’asta superiore ai 31 milioni di euro, di cui 20 in favore del comune di Bologna, principale regista dell’operazione. Ma nessuno si fa avanti compresa Trenitalia e una serie di società estere date dai rumors interni come interessate all’operazione. Chissà perché!?
Nessuno sa infatti che Interporto, con un bilancio in attivo di 453 mila euro, ha un’ esposizione bancaria a medio e lungo termine di 62 milioni, a breve di 9 milioni 700mila e per derivati da 6 milioni 400 mila con BNL, Cassa di Risparmio in Bologna, la Bp di Verona, la Bp di Bergamo, la Bp del commercio e la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza. Le anomalie più evidenti nascono proprio con la vendita. Il comune del sindaco Virginio Merola delibera a febbraio “un aumento gratuito di capitale di 8 milioni a sostegno di Interporto” e da “la delega al cda per futuri aumenti di capitale”. Poi decide di vendere tutto convincendo anche la Provincia, visto che insieme detengono il pacchetto di maggioranza (35,1+17,5=52,6%). Lo strano aumento non sembra servire a valorizzare la municipalizzata, ma coincide con le cedole dei derivati da pagare; sembra usata “al fine di supportare i flussi in perdita dei derivati”, sottolinea Anatos. Probabilmente per nascondere la polvere sotto il tappeto e presentare bilanci abbelliti. Ma un nuovo aumento di capitale da 15 milioni di euro è già in cantiere.
Stesso problema nella Centrale dei Rischi del Teatro Comunale con un esposizione complessiva di di 13 milioni. Atc spa, il trasporto pubblico, con un esposizione da 13 milioni e derivati da 1 milione con Unicredit o Acer, azienda case popolari, esposta per 44 milioni e mezzo e derivati da 1 milione con Mps. O il comune di Bologna stesso, che visto il bilancio, ha una inspiegabile linea di credito di 149 milioni presso Unicredit. Linee di credito simili si usano solitamente per coprire esposizioni non visualizzabili nella normale Centrale dei Rischi italiana. E’ il caso di derivati di legislazione anglosassone che possono non apparire. Nella pancia del comune ci sono possibili derivati della Dexia da 9 milioni per finire con un utilizzo di denaro del Banco di Sicilia per 44 milioni come credito a medio-lungo termine e della Carisbo per 155 milioni di euro.
A nulla serve il monito della Corte dei Conti che da anni ne sottolinea la pericolosità per le ricadute devastanti sui conti e la vita dei cittadini. I giudici, precisa Anatos, annullano facilmente questi contratti “per danno potenziali all’ente sottoscrittore”. Ma il rapporto con le banche è tale che sembra difficile che qualche amministratore emiliano si possa esporre e fare causa per recuperare il maltolto sottoscritto, mantenendo innescate le bombe ad orologeria col pericolo che esplodano da un momento all’altro.
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