di Antonio Amorosi a pag 8 de La Verità di Pasqua 16 aprile 2017
Due disoccupati italiani vivono fra le tombe del loro Comune. Le istituzioni li ignorano ma spendono 20 milioni e più per i richiedenti asilo immigrati
L’ultima speranza per gli italiani è andare a vivere al cimitero. Sembra una battuta ma non lo è. Siamo a Villa Carcina, in Val Trompia, ricca provincia bresciana tra boschi e montagne ripide, terra di lavorazione del ferro, dove la vita è stata dura per intere generazioni passate tra grotte e cunicoli delle miniere. Ma una cosa così giurano di non averla mai vista.
E’ inverno. Un uomo ancora giovane, a dorso nudo, si lava con una saponetta alla fontanella del cimitero. Un altro gli sta dietro, aspetta. Immaginerete per recuperare l’acqua dei fiori, da depositare sotto la lapide di un parente!? No. Aspetta il suo turno, per lavarsi. Questa è la storia di due italiani «profughi nel loro Comune», finiti al cimitero da due anni, e del loro angelo custode, un pensionato testardo. «Sono italiani profughi nel loro paese» ripete. E’ uno slogan leghista? No di un comunista!
«Mi chiamo Enrico Gavazzi…», «Mi chiamo Antonello Pirroni…» portavano scritto qualche giorno fa su un cartello appeso al collo i due finiti a vivere, non a morire, al camposanto. Protestavano contro la propria condizione. Facce comuni, di povera gente rimasta per strada perché senza lavoro. Si aggiravano con i cartelli fuori e dentro il cimitero. Sul cartone la scritta a pennarello è identica: «Sono un cittadino di Villa Carcina, sono senza casa e dormo per strada, sono senza lavoro e mangio con l’aiuto di alcuni cittadini». Per la verità uno dei due ha preso come giaciglio o alloggio i margini del camposanto. L’altro dorme nella sede della locale Rifondazione comunista, una stanzina di una trentina di metri quadri, senza acqua né servizi. Così per lavarsi e fare il resto c’è il cimitero, l’ultimo posto vivibile dove nascondersi. In mezzo ai due, alla manifestazione di protesta, c’è il loro angelo custode Marsilio Gatti, pensionato operaio sessantaduenne, ex consigliere comunale di Rifondazione, anche lui con un cartello appeso al collo che riporta l’articolo 2 della Costituzione sui diritti dell’uomo e i doveri di solidarietà. In basso sul cartellone ha disegnato un simbolo. Io mi aspettavo un segno di ira e rivolta, chessò, una falce e martello o una A cerchiata di anarchia, un vaffanculo, due mitra. No. C’è un fiorellino. Dietro i cartelli le loro tre facce, di uomini qualunque come noi, come voi, che con occhi decisi, arrabbiati ma al tempo stesso persi, sembrano non capire più il mondo in cui vivono. Chiedono solo un posto dove lavarsi e dormire che non sia il cimitero. Ma il Comune tra burocrazia e lungaggini non sa dare risposte.
Enrico ha 42 anni, faceva il muratore ma l’impresa per cui lavorava è fallita, é da 3 anni in queste condizioni. Antonello di anni ne ha 57, lavorava in un’impresa metallurgica, come Gatti, realizzando viti e bulloni. Perso il lavoro salta il mutuo e la banca gli pignora la casa. Da lì la degenerazione; si è separato dalla moglie e dai figli e da 4 anni vive in questa situazione. «In una terra ricca come la Val Trompia problemi del genere si possono risolvere in 20 giorni ma qui i concittadini caduti in povertà sono ridotti a rifiuti organici» – racconta Gatti con la voce flebile – «possibile che non ci sia una casa per loro tra le 600 vuote nel Comune? Mi sono anche proposto come garante, se serve, nel caso l’ente pubblico abbia problemi. Niente! Non sono né immigrati né profughi, non sono tossicodipendenti né delinquenti, non hanno problemi psichiatrici. Hanno solo perso il lavoro» – sbotta. A riprova che anche «a sinistra» per qualcuno è chiaro che il sistema profughi è un business mentre quello dei poveri non abbastanza.
In Italia sono 8 milioni le persone in povertà relativa. Dal 2007 al 2015 i poveri assoluti, che cioè non hanno proprio niente, sono raddoppiati dai 2 milioni e 400000 ai 4 milioni 500000. Nella provincia di Brescia i poveri dichiarati sono più di 20000 e la città è al quinto posto nazionale per la popolazione più a rischio di finire in povertà (il 20 per cento degli abitanti). La provincia di Brescia invece di concentrarsi su di loro in un anno spende quasi 20 milioni di euro per accogliere i richiedenti asilo, 2308 immigrati ospitati nel migliore dei modi. I famosi 35 euro al giorno a persona. Oltre i 20 milioni provinciali anche la Comunità Montana della Val Trompia ha ottenuto di recente risorse, dopo incontri bilaterali e sforzi ad ogni livello. La questione brucia se pensiamo che i grandi progetti dedicati ai migranti hanno smobilitato tutto il bresciano, una delle aeree a più alto tasso di immigrazione del Paese, passata in soli tre anni da 3 a 11 grandi progetti, coinvolgendo 29 enti locali.
Dalla visione di ciò che accade si può capire che povertà e disoccupazione non sono un business. Lo sono solo gli immigrati. Lo ha compreso anche l’ex consigliere di Rifondazione Comunista Gatti con la sua battuta. Possibile che visto lo spolvero di milioni, risorse e mezzi non si sia trovato una soluzione, un euro, per i due malcapitati di Villa Carcina? Che con i loro genitori e avi hanno contributi alla crescita del loro paese, anche solo pagandone le tasse!? La risposta è semplice. Se in Italia perdi il lavoro e vivi per strada o al cimitero lo Stato non da 35 euro al giorno per gestirti. Qualche tempo fa uno dei due ha trovato un lavoretto fuori dal paese ma le istituzione non si sono rese disponibili neanche a pagare il biglietto dell’autobus per raggiungere il posto. In passato è arrivato qualche assegno da 300 euro e poco pìù.
Per adesso Enrico ed Antonello hanno come rifugio solo il cimitero. Prima che qualche burocrate, appresa la storia fuori dalla valle, per la vergogna non scelga di impedirgli anche questo.
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