di Antonio Amorosi a pag. 7 de La Verità del 22 giugno 2017
Trova le differenze. Per Virginia Raggi si, per Virginio Merola no.
Sono entrambi sindaci, rispettivamente di Roma e Bologna. Hanno lo stesso nome di battesimo. Sono entrambi scivolati su fattacci di dirigenti della macchina amministrativa. Pochi sanno, infatti, che anche il sindaco di Bologna, del Pd, è coinvolto in una vicenda riguardante i suoi dirigenti. Ma si parla solo della Raggi. Chissà perché.
Al Comune di Bologna è addirittura arrivata la condanna della Corte dei conti. Ed il Comune contattato da chi scrive ha ammesso, per iscritto, di aver violato una ulteriore norma anche dopo la condanna. Ma per Virginio del Pd non ci sono programmi tv in prima serata né telecamere a scandagliarne la quotidianità né comunicazioni dell’autorità giudiziaria. Sono tutti solo e unicamente per Virginia dei 5 stelle. E Virginia Raggi per adesso è solo accusata di aver violato delle norme. Può darsi che un processo la riterrà colpevole. Ma per adesso è solo un’accusa. Eppure.
A Roma, in seguito alla richiesta della magistratura, si aspetta il rinvio a giudizio del primo cittadino per abuso d’ufficio e falso. Certo, è arrivata la notificato del 415 bis, atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio.
L’abuso d’ufficio è per la nomina del fedelissimo Salvatore Romeo. Quello delle polizze vita intestate, che da funzionario del Comune a 39.000 euro annui finì alla guida della segreteria della Raggi, con un salario di quasi 120.000 euro. Stipendio poi sceso a 93.000 per l’intervento dell’Authority anticorruzione. L’accusa di falso invece è relativa alla nomina di Renato Marra, fratello meno famoso del dirigente Raffaele arrestato (la nomina successivamente è stata revocata). Raggi avrebbe detto il falso alla responsabile anticorruzione del Comune. Raggi sostiene di aver agito in buona fede e si è sempre dichiarata innocente. Ma se ne chiedono le dimissioni.
Invece si dichiara colpevole il Comune di Bologna di Virginio Merola, sindaco al secondo mandato.
Due dirigenti storici del Comune Bologna, Roberto Diolaiti e Giovanni Fini, affidano per anni consulenze geologiche ad un privato senza titoli: un affidamento di incarichi in assenza dei presupposti. Vengono condannati con sentenza definitiva dalla Corte dei Conti per un danno da 200.000 euro (il reato è prescritto per gli anni precedenti, il danno sarebbe anche superiore). Ma il Comune non sanziona i due dirigenti come obbliga a fare la legge italiana, la n° 311 del 2004 art. 1 commi 11 e 42. «L’affidamento di incarichi in assenza dei presupposti», proprio il reato di Diolaiti e Fini, oltre ad una «responsabilità erariale», cioè la restituzione del maltolto, porta ad un «illecito disciplinare», cioè impone al Comune di sanzionarli. Ma quando chiediamo al Comune che sanzione ha inflitto ai dirigenti lo becchiamo con le mani nella marmellata. Ammette con una comunicazione ufficiale che «vista la complessità della materia e della normativa succedutasi nel tempo, si è valutato di non avviare alcun procedimento sanzionatorio». La normativa non è mai cambiata e l’intervento disciplinare del Comune è obbligatorio, come abbiamo spiegato l’11 giugno scorso in un articolo La Verità. Ma non è successo nulla. C’è una palese omissione in atti di ufficio, un reato penale. E non succede nulla. Per un Comune è un reato non applicare la legge. Eppure. Eppure da Virginio non sono arrivate né le tv né i grandi giornali né la Procura della Repubblica. Incomprensibile bellezza del circo mediatico che con il Pd non affonda mai il colpo.
ps.
Ha rifatto la domanda al Comune il consigliere delle Lega Nord Umberto Bosco. Risponde il sindaco Merola: «Quanto alla sua domanda sul “mancato procedimento disciplinare”, la valutazione è stata di non avviarlo considerata la complessità della materia e della normativa che si è via via succeduta nel tempo». Appunto. Ha commesso un reato penale. LEGGI IL DOCUMENTO
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